FBM9 Atto finale: focus su Pinot Nero e vitigni collegati

Dopo l’apertura col botto e le serate interessanti che sono seguite, ho chiuso col botto. Ma non in senso figurato. Stappando una delle bottiglie mi è scappato il tappo e quindi i presenti hanno sentito il botto. Scherzi a parte è stata una serata veramente interessante, direi quasi unica.

Cinque produttori che si sono alternati a raccontare la loro idea di bollicina legata al territorio. Degustazioni in linea con quanto raccontato prima dalle singole aziende. Pubblico attento e coinvolto. Insomma una serata da incorniciare.

Voglio ringraziare tutti i partecipanti che hanno reso possibile tutto ciò. Più di 100 persone che si sono alternate nelle quattro serate, oltre 30 le aziende che hanno creduto nel progetto e che si sono mosse dalle più lontane parti del Paese. La più lontana? Alba dell’azienda La Contea che è venuta da Mascali in provincia di Catania.

Un ringraziamento a Raffaele della Locanda del Gusto aPietrasanta che ci ha ospitato per tre serate in una splendida bomboniera, proponendo piatti sempre diversi e interessanti.

Un ringraziamento speciale a Sabrina, mia compagna, che mi ha supportato e sopportato durante questo intenso mese.

Ci vediamo il prossimo anno per l’edizione del decennale che vedrà qualche piccola novità nel format, ma dovrete aspettare ancora un po’ per scoprirla.

Lombardia: Pavò, Brut s.a.,  pds 15, Pinot Nero 100%

La storia della cantina Pavò Franciacorta vanta ormai più di un decennio; dall’acquisizione dei vigneti avvenuta nel 2010, alla prima commercializzazione dei vini Pavò Franciacorta DOCG nel 2015, grazie alla competenza dell’enologo Cesare Ferrari, fino ad oggi.

Il nome Pavò deriva da un fortunato incontro con uno splendido esemplare di pavone maschio all’interno dei vigneti di proprietà. Il suo piumaggio sgargiante e la sua regale figura hanno ispirato i fondatori della cantina, che hanno voluto creare un simbolo che rappresentasse la loro passione per il vino e la loro ricerca della qualità.

I vigneti di Pavò Franciacorta si trovano in una posizione privilegiata, a nord della Franciacorta. Il clima mite e ventilato, la composizione dei terreni e la vicinanza al lago d’Iseo creano le condizioni ideali per la coltivazione di uve Chardonnay e Pinot Nero, le due varietà protagoniste dei vini della cantina.

Il Pavò Rosé Metodo Classico VSQ che ho degustato, è ottenuto da uve provenienti dai vigneti di cui dispone l’azienda fuori dal territorio franciacortino. Si tratta di un Pinot Nero al 100% proveniente da terreni costituiti da rocce sedimentarie marine, con una rilevante componente argillosa vinificato con breve contatto del vino sulle fecce.

Il vino ha un colore rosa tenue, con una tonalità che vira verso il ramato. Il perlage è fine e persistente, con una buona energia di risalita.

Al naso si presenta con sentori di piccola frutta rossa caratteristici del vitigno di provenienza, come fragola, lampone e ciliegia, ben maturi. Si percepiscono anche sentori di fiori blu, come iris.

Le bollicine sono eleganti al palato, prendono volume e si mettono al servizio della freschezza.  L’acidità ha il sapore dei frutti percepiti al naso che riproponendosi in successione allungano piacevolmente la persistenza di beva.

Umbria: La Madeleine, “Nerosè” Brut s.a.,  pds 36, Pinot Nero 100%

Nella parte meridionale della verde Umbria, tra i comuni di Narni e Otricoli, in una zona enologicamente meno conosciuta ma ricca di storia e geograficamente ben posizionata si trova la cantina La Madeleine, un’azienda vinicola fondata nel 2008 dalla famiglia D’Alema.

I due coniugi, Linda e Massimo D’Alema, hanno deciso di trasformare una vecchia fattoria in una cantina vinicola, dando vita a un progetto ambizioso e innovativo.

Lo fa nei 15 ettari di terreno di cui circa 7,5 impegnati a vigneto.

La Madeleine è un’azienda che si impegna per la sostenibilità ambientale. I vigneti sono coltivati secondo i principi dell’agricoltura biologica, e l’azienda utilizza energia rinnovabile per la produzione di vino.

Il terreno che accoglie i filari è argilloso e aspro cosparso di conchiglie e fossili di mare, a testimoniare come quelle terre fossero ricoperte dal mare.

Sono presenti vitigni internazionali, come il Cabernet Franc, il Tannat e il Marselan, che si adattano bene al clima e al terreno della zona. Inoltre, dal 2017 ha iniziato a piantare anche il Ciliegiolo, un vitigno autoctono dell’Umbria.

Il fatto che l’azienda sia posizionata su di una collina dell’altezza di circa 180 m slm, esposta a Nord e continuamente ventilata, ha spinto la proprietà a piantare anche Pinot Nero con il quale producono uno spumante rosé metodo classico e un Pinot nero in purezza.

Giulia, in rappresentanza dell’azienda, ci ha descritto nel dettaglio il “Nerosè” e molte delle cose sono state ritrovate nel bicchiere.

Si presenta vestito di un rosa ramato delicato e tenue. Le piccole bollicine si liberano da diversi punti del bevante.

Al naso è coerente con i sentori tipici del Pinot Nero. Apre con una piacevole nota agrumata di pompelmo rosa per poi esporre il suo corredo di piccoli frutti rossi di bosco, fragoline, mirtilli e ribes. Una leggera nota salmastra chiude lo spettro.

Al sorso la bollicina prende volume in bocca ma non lascia il vino, aiutando la freschezza a fare il suo lavoro. Ritorni fruttati e finale agrumati sono aiutati in persistenza da una saporosa sapidità. La chiusura non vira su sensazioni amaricanti, segno di qualità come ci ha spiegato Roberto Bellini gradito ospite della serata.

Sicilia: La Contea, “Etna Est” Brut 2018,  pds 40, Nerello Mascalese 100%

L’Etna è il vulcano più alto d’Europa, con un’altezza di 3.323 metri sul livello del mare. I terreni vulcanici sono ricchi di minerali, che conferiscono ai vini prodotti in questa zona un carattere unico. Caratteristica che ha convinto sempre più produttori ad impiantare vigneti sui pendii de “a Muntagna”.

Nel territorio di Mascali, sul versante orientale, si trova l’azienda La Contea.

L’azienda si sviluppa su 16 ettari, di cui 8 vitati, da cui si ottiene una vasta gamma di vini rossi, bianchi, rosati e spumanti, utilizzando solo uve autoctone del territorio (Nerello Mascalese, Nerello Cappuccio e Carricante).

I vigneti sono situati ad un’altitudine di circa 400 metri sul livello del mare, le uve vengono coltivate secondo i principi dell’agricoltura sostenibile, con l’obiettivo di preservare la qualità dei vini e l’integrità dell’ambiente.

La vinificazione viene effettuata in cantina con l’utilizzo di tecniche moderne, ma nel rispetto dei metodi tradizionali. Ci è stato raccontato dal produttore che questa era il divertimento di famiglia. Il vino veniva fatto per uso privato. Le successive iniziali richieste di parenti ed amici hanno aperto la strada alla commercializzazione.

Oltre ai vini bianchi e rossi l’azienda produce due metodi classici da vitigni tradizionali. Ho degustato Etna Est, Brut del millesimo 2018, ottenuto da uve nerello mascalese in purezza prodotto in 2.596 bottiglie.

Alla vista ha un colore paglierino, compatto e intenso, particolarmente vivace. Le piccole perle danzano nel bevante tracciando sinuose traiettorie.

Il calore del sud si percepisce al naso. I frutti sono maturi, a polpa gialla, come pesche. Succosi come una susina Santarosa e piacevolmente agrumati con ricordi di cedro.

In bocca la mineralità del terreno prende connotazione in una succulenta sapidità che affiora appena la freschezza e l’integrata bollicina cedono il passo. Piacevole equilibrio gustativo che non stanca la bocca.

Toscana: La Leccia, “Rubedo 60” Pas Dosé 2016,  pds 60, Sangiovese 100%

La Fattoria La Leccia fu acquistata negli anni’70 dai tre fratelli Bagnoli – Renzo, Sergio e Loriano – titolari del gruppo Sammontana, che decisero di recuperarne vigne e oliveti e ripristinare la cantina.

Nel 2009 l’azienda venne affittata, tenendo la villa ad uso familiare, ma nel 2013 la famiglia decise di assumerne nuovamente la direzione.

I 20 ettari vitati di Fattoria La Leccia sono composti sia da vitigni autoctoni – Sangiovese e Trebbiano – che da varietà internazionali, come Merlot e Syrah allevati in aree con suoli franco argillosi ricchi di calcare con un clima mite e ventilato.

La proprietà è circondata da un suggestivo bosco di lecci che, da un lato, preserva la biodiversità e dall’altro, isola il podere rispetto ai vigneti circostanti.

La filosofia aziendale si basa sul rispetto della natura, il saper fare e il giusto cambiamento. La sfida della Fattoria La Leccia è di valorizzare i prodotti del territorio di Montespertoli, talvolta sottovalutato o non considerato, gestendo in prima persona la conduzione agronoma ed avvalendosi del supporto dell’enologo Gabriele Gadenz in tutte le fasi della produzione enologica.

Lorenzo ci spiega che il fiore all’occhiello dell’azienda è Rubedo 60, ovvero rossore ed è considerato l’apice dell’alchimia: il momento in cui il piombo si trasforma in oro. Proviene da un clone di Sangiovese, molto produttivo, in purezza. Vinificato con poca estrazione di materie coloranti, per scelta aziendale, resta dopo la seconda rifermentazione in bottiglia, 60 mesi in affinamento sui lieviti. Ne sono state prodotte solo 368 bottiglie.

Ramato con riflessi di oro antico nel bicchiere. Le bollicine sono fini, lente nel loro andare e organizzate in numerose catenelle.

Naso d’impatto. La potenza del profumo è maggiore di quella dei prodotti fin qui degustati. Si affacciano note terziarie al limite dell’empireumatico che hanno fatto sospettare l’utilizzo di legni. Lorenzo ci ha confermato che il prodotto fa solo acciaio e che le sensazioni tendenti al tostato derivano solo dalla permanenza sui lieviti. Poco dopo si presentano sbuffi di frutta matura, pesca e papaia e ricordi di giglio.

In bocca non si vergogna a dichiarare la potenza della Toscana. Intenso e persistente. La bollicina è vivace inglobata nel vino ed offre la sua azione rinfrescante all’acidità. Finale sapido e gustoso che pulisce bene la bocca.

Emilia Romagna: Podere Pavolini, “Lady Giò” Brut 2017,  pds 64, Pinot Nero 100%

Graziano Terzoni è un enologo e viticoltore di Bacedasco Alto nei pressi di Vernasca, in provincia di Piacenza. Da tre generazioni la sua famiglia coltiva le vigne di proprietà sulle colline dell’alta Val d’Arda, un territorio con un’antica tradizione vitivinicola.

Terzoni ha ereditato la passione per il vino dal padre, ma ha anche una forte visione innovativa. Il suo obiettivo è valorizzare le uve autoctone piacentine, poco conosciute al grande pubblico, ma da sempre apprezzate per la produzione di vini di eccellente qualità.

Podere Pavolini, così si chiama l’azienda di Graziano, ha circa 5 ettari di vigneti, situati su terreni con pendenze variabili dal 5 al 12% e altezze comprese fra 200 e 250 metri sul livello del mare. Le uve principali sono la Malvasia di Candia Aromatica, l’Ortrugo, la Fortana e la Bonarda.

La filosofia aziendale è quella di essere rispettosi dell’ambiente e della natura, con l’obiettivo di ottenere vini eleganti e armonici. Per questo motivo, si evita di esaltare le caratteristiche più muscolari delle uve, preferendo valorizzare i loro aromi delicati e la loro freschezza.

Avevo già avuto modo di parlarvi di un metodo classico di Graziano, Les Rois con prevalenza di Fortana e compendio di Pinot Nero; stasera vi racconto Lady Giò, Pinot Nero in purezza in versione rosata dedicato alla figlia Giorgia “intelligente, intraprendente e indipendente, come suo padre.”

Colore più carico dei precedenti due rosati. Fini bollicine allietano la vista scoppiettando allegramente sulla superficie.

Naso con apertura agrumata di cedro, poi ricordi di melograno e melannurca, sul finire piccoli frutti rossi di bosco. I profumi sono definiti e riconoscibili in sequenza.

In bocca la bollicina è spumosa, accarezza la cavità orale e si ricompatta nel vino. Fresco e con giusta persistenza, allunga il finale di bocca con un piacevole ricordo sapido.

Piemonte: Ada Nada, “Dilva” Pas Dosé 2016,  pds 72, Nebbiolo 100%

Treiso è un piccolo comune della Bassa Langa, situato a pochi chilometri da Alba. La sua storia è antica e ricca di tradizioni, e il territorio è caratterizzato da un paesaggio collinare di grande bellezza.

Da sempre questa terra è vocata alla viticoltura, e qui il nebbiolo, uva storicamente allevata in loco dà una delle sue migliori espressioni nel vino Barbaresco.

La storia della famiglia Nada inizia nel lontano 1919, quando Carlo Nada acquista la cascina e fonda l’Azienda. Sarà poi Giancarlo Nada, enologo, a partire dal 1989, ad ampliare e sviluppare la produzione vinicola.

L’azienda conta 9 ettari di vigneto, di cui la metà destinati a Nebbiolo. I vigneti sono situati intorno alla cantina, e sono in gran parte compresi nelle importanti sottozone Valeirano e Rombone.

Elvio, marito di Anna Lisa, ci racconta che le uve sono coltivate con metodi tradizionali, nel massimo rispetto del territorio e della natura. La raccolta, effettuata rigorosamente a mano, viene valutata per ogni singolo vigneto con campionamenti mirati ad ottenere il massimo della qualità.

La cantina produce principalmente Barbaresco, Langhe Nebbiolo e Moscato, ma da diversi anni ha trovato posto anche un Metodo Classico, il Dilva, prodotto esclusivamente con uve nebbiolo che avevo già deustato in una precedente edizione di FBM.

Vendemmia anticipata delle uve, base spumante affinata in legno piccolo per 4 mesi, sei anni in bottiglia sui lieviti. Queste in breve le caratteristiche del Dilva.

Un’ottima produzione di fini treni di bollicine impreziosisce il colore ramato del vino rendendolo accattivante alla vista.

All’olfatto è intenso, con diversi riconoscimenti. Si parte da note di frutta secca delicatamente tostate, delicati accenni di pasticceria riconducibili a biscotti al cocco. La parte centrale è più succosa. Pomacee e piccoli frutti rossi, sul finire accenni di fiori come una rosa.

In bocca è contenuto nel gusto: la bollicina ha una carica di energia vivace che arricchie la beva. Fresco e sapido lascia la bocca pulita dopo la deglutizione. Piacevole scia sapida con ritorni di frutto ed accenni salmastri.

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