Figli di una Bollicina Minore VII – Gli Autoctoni

Si prendono appunti…

Il termine autoctono, riservato ad una tipologia di vitis vinifera,  significa che quel vitigno è nato o è stato importato in un preciso luogo geografico. Nel corso dei secoli, grazie a selezioni naturali od umane, si è sviluppato ed adattato al territorio che lo ha ospitato fin quasi a fondersi con esso. Per questo i vitigni autoctoni sono in grado di leggere in profondità il loro ambiente naturale trasmettendo al vino un’identità territoriale e storica. In Italia possiamo vantare un patrimonio costituito da oltre un centinaio di uve autoctone di consolidata tradizione, alcune molto conosciute, altre in via di estinzione. Si sta vivendo una rinascita culturale da parte dei consumatori che apprezzano sempre più i vini prodotti con questo tipo di uve, perchè ricche di personalità e carattere. Anche gli spumanti metodo classico non si sono sottratti a questo trend, per cui già da diversi anni ho dedicato una specifica serata a questi prodotti di nicchia. Se non ci credete andatevelo a leggere qui, qui e qui. Per chi ha piacere può continuare la lettura delle nostre impressioni sui prodotti degustati, per gli altri do appuntamento… giovedì 05 dicembre per la Serata Produttori che darà la possibilità ai presenti di interagire con le aziende invitate….stay tuned.

Campania: Casebianche, “La Matta”, PD, pds 15 Fiano 100%

Casebianche nasce nel 2000 quando Elisabetta e Pasquale lasciano la professione di architetti ed iniziano ad occuparsi dei vigneti di famiglia realizzando le prime vinificazioni sperimentali. Scelti terreni particolari come il flysch (voce dialettale della Svizzera tedesca che significa china scivolosa) composto da una successione costituita tipicamente da alternanze cicliche di livelli di arenaria, e di argilla o marna. Scelto il Fiano come vitigno autoctono. Vitigno vigoroso e fertile ma caratterizzato da basse rese. Dà i migliori risultati se coltivato su terreni vulcanici, ma si può esprimere pienamente anche sull’argilla e in condizioni di suoli pesanti. La spiccata acidità dei mosti lo rende atto alla spumantizzazione. Conduzione biologica in conversione al biodinamico. La matta è un Metodo Classico ancora sui lieviti. Viene fatto rifermentare con l’aggiunta dei lieviti del mosto del vino base e sigillato col tappo a fungo. Lo abbiamo degustato sia con le fecce in sospensione che senza. Nel primo caso alla vista è velato, degorgiato passiamo ad un cristallino. In entrambi i casi il colore è un bel giallo dorato. Poco espressivo al naso, esprime una buona massa di profumi, ma confusi fra note fruttate e floreali; più accattivante la versione con i lieviti con un minerale finale. Alla beva risulta dotato di buona freschezza e piacevole sapidità in finale di bocca. Semplice al gusto con sufficiente PAI.

DOC Lessini: Colli Vicentini, “Le Macine”, Brut, pds 18 Durella 100%

Di origini oscure, la durella secondo alcuni studiosi, non è altro che l’antico “occhio di pernice” per altri sarebbe il sinonimo di “nosiola”. Di certo c’è che che il suo allevamento nella valle dell’Alpone risale a fine 1200. Preferisce la alture di origine vulcanica dei Monti Lessini alle pianure. Utilizzato storicamente come uva da taglio per donare acidità ai vini troppo alcolici, nel tempo ha acquisito una propria personalità. Verso gli anni sessanta si passò decisamente alla vinificazione “in bianco”, ottenendo un prodotto base molto gradevole ed ottimale per la preparazione dello spumante. Il campione versato mostra un colore giallo paglierino vivace, quasi metallico con una buona formazione di schiuma e perlage di risalita. Naso molto crudo. Medio impatto con apertura citrina e frutta a polpa bianca acerba. Chiusura con leggera nota minerale. Bocca fresca caratterizzata da copiosa salivazione e chiusura sapida. Struttura compressa ma inerte. Persistenza nella norma.

Piemonte: Ada Nada, “Dilva”, PD 2015, pds 24 Nebbiolo 100%

Situata a Treiso, l’azienda dedica più del 50% della sua produzione al blasonato Barbaresco. Con la stessa uva nebbiolo hanno iniziato a fare questa versione spumantizzata. Il terreni di origine tortoniana dedicati a questa produzione sono meno di mezzo ettaro e posizionati ad un altitudine di 300 mt. slm. Ovviamente la vendemmia viene anticipata per preservare l’acidità e la raccolta viene fatta esclusivamente a mano. Prima del tiraggio il vino base viene smussato in piccole botti di rovere per almeno 4 mesi. Alla vista si presenta di un accattivante colore che ricorda i petali delle rosa. Spuma soffice e persistente e treno di bollicine impetuoso che scoppietta nel centro del bevante. Naso che apre con i classici frutti rossi propri del vitigno. Ribes, mirtillo e mora in sequenza. Accenno balsamico e piacevole tostatura sul finale. In bocca è coerente con quanto anticipato al naso. Apre con buona freschezza fruttata ed allunga il gusto sfruttando la mineralità derivante dal terreno. Il vino resta teso per tutta la sua persistenza. Piacevole scoperta.

Piemonte: Paolo Ferri Wines, “Preja”, XB, pds 40 Vespolina 100%


Paolo Ferri è un giovane viticoltore originario di Suno, ai piedi del Monte Rosa. Con la volontà di fare emergere il territorio, Paolo propone vini unici dal carattere inconfondibile. Ama utilizzare i vitigni autoctoni come appunto la Vespolina. I terreni sono di origine morenica con presenza di depositi alluvionali condizionati dalla presenza del Supervulcano. La matrice è porfido rosa, ma si possono trovare  grandi differenze in poche decine di metri. Versato nel bevante si presenta in una tenue veste rosata. Al naso prevalgono i fiori, rosa in particolare, ma anche accenni più pungenti di geranio odoroso. Segue un frutto rosso e chiude con ricordi di note speziate di pepe e coriandolo. La beva è interessante. Bollicina in bella evidenza con una buona massa. Delicatamente supporta la freschezza accettando il ruolo di gregario. La chiusura rimanda ad un frutto maturo, piacevolmente sapido. Di buona persistenza ed equilibrio. Vino dinamico e tridimensionale.

DOC Erbaluce di Caluso: Giacometti Bruno, Brut 2013, pds 42 Erbaluce 100%

Il nome del vitigno deriva dall’espressione latina Alba Lux (luce dell’aurora), che si riferisce al colore che assumono gli acini in autunno, quando i riflessi si fanno più caldi e intensi, ambrati, nelle parti esposte al sole. Alcune fonti ritengono che si possa trattare di una variante del Fiano, portata in Piemonte dai Romani. Altri credono che sia originaria della zona prealpina del Canavese. Il suo alto livello di acidità e la sua fragranza aromatica ne fanno una buona varietà sia per la produzione di spumanti che vini fermi e passiti. Le colline su cui viene coltivato questo vitigno sono di origine morenica, ossia formate dallo spostamento dei ghiacciai; questo tipo di terreno è particolarmente adatto per la coltivazione della vite, poichè presenta in superficie uno strato ciottoloso che, grazie anche alla forte pendenza delle colline, favorisce il deflusso delle acque. Nello strato inferiore si ha la presenza di argilla che trattiene l’acqua per i periodi di siccità. La presenza del lago di Candia, inoltre, opera come un volano termico per gli sbalzi di temperatura tra il giorno e la notte. Brillante giallo paglierino carico, sviluppa abbondante e cremosa schiuma alla mescita. Il colore è impreziosito da numerosi e costanti catenelle di bollicine di risalita. L’attacco olfattivo è fresco. Si susseguono fiori bianchi e gialli, frutta a polpa bianca matura con accenni di susina. Chiude con ricordi balsamici e minerali. In bocca è complesso. Di corpo, avvolge la cavità orale per lasciarla perfettamente pulita dopo il sorso. Oltre la freschezza si percepisce una nota sapida che regola il finale di bocca. Prodotto interessante da utilizzare a tutto pasto.

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